Recensione: Saga di Ragnarr

Titolo: Saga di Ragnarr
Editore: Iperborea
Pagine: 158
Anno di pubblicazione: 2003
Prezzo copertina: 15,00 €


Recensione a cura di Marika Bovenzi

Tutti almeno una volta nella vita siamo rimasti affascinati dalle storie e dalle vicende del popolo norreno, e se da un lato la mitologia ci ha insegnato la crudezza e la forza di divinità nordiche legate alla natura; dall’altro, nomi leggendari della cronachistica come Ragnarr, Björn, Ivarr senza ossa, ci hanno dimostrato come la storia vichinga non sia fondata solo sui miti, ma abbia anche delle solide fondamenta. E proprio sulle gesta e sulle avventure di Ragnarr e dei suoi figli che si basa il libro edito da Iperborea. Lo scritto offre al lettore una rilettura leggendaria degli avvenimenti storici che si verificarono tra la fine del VIII e i primi

anni del IX secolo (dal saccheggio del monastero inglese di Lindisfarne nel 793) sino al XIII secolo , quando l’età vichinga si conclude con il fallimento della spedizione del re di Norvegia, Magnus, per conquistare l’Inghilterra. 

Durante questo lungo lasso di tempo, i vichinghi si interessarono al Regno Unito, alla Francia settentrionale, alla Spagna meridionale, allo Stretto di Gibilterra e al Mediterraneo, dapprima con l’obiettivo di razziare e saccheggiare per rimpolpare e integrare la loro economia con quella dei popoli civilizzati; poi, con lo scopo di istituire domini, insediamenti e nuove attività commerciali. In questa saga, il primo personaggio a fare la sua comparsa è Ragnarr Lodbrók, ritenuto figlio di Sigurd Hring. Stando alle fonti pagane fu un grande personaggio, capostipite di norreni famosi che forgiarono la storia e i miti, e uomo valoroso che morì ad opera del re Ella che lo fece buttare in una fossa colma di serpenti. A tal proposito famosa è l’espressione che Ragnarr avrebbe pronunciato in punto di morte: “Strepiterebbero i porcellini, se sapessero quel che il verro patisce”.

Stando alle fonti cristiane invece, il famoso vichingo sarebbe morto in seguito ad una punizione divina per aver saccheggiato il monastero di Saint-Germain-des-Près. Oltre a lui, vanno ricordati Björn fianchi-d’acciaio (che viene citato dal cronista normanno Guglielmo di Jumièges) per le scorrerie lungo la Senna, i saccheggi a Rouen e Parigi, gli sbarchi in Spagna e in Italia; Ivarr senza ossa e Ubba citati nell’Anglia orientale per le invasioni nella Northumbria, la morte di re Ella, e le continue scorrerie in tutta l’Inghilterra; Sigurdr serpe-negli-occhi, menzionato da fonti storiche come re dei Danesi; ed infine Hvitserkr, di cui non si hanno notizie certe nelle fonti, ma compare nelle tradizioni orali e leggendarie.

Lo stile è senza dubbio elegante, caratterizzato da un linguaggio difficile e colmo di tecnicismi ed etimologie tipiche della cultura norrena, che tuttavia non pregiudica lo scorrimento della lettura. In questo libro, storia e leggenda, cronaca e mito, realtà e fiaba si mescolano sino a dare vita ad un volume completo in cui alle reali usanze e abitudini norrene, si affiancano profezie, indovinelli e visioni. Un aspetto che ho particolarmente apprezzato è l’accuratezza e la minuziosità dedicata a particolari come poesie germaniche antiche, menzioni e discorsi.

In conclusione, lo consiglio a tutti gli appassionati di mitologia e a chi ha voglia di conoscere le reali origini del vichingo che ha scosso le fondamenta del mondo.


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