Recensione: LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE di Pierre Boileau e Thomas Narcejac

Titolo: La donna che visse due volte
Autore: Pierre Boileau, Thomas Narcejac
Editore: Adelphi
Pagine: 196
Anno di pubblicazione: 2016

Prezzo copertina: 18,00 €


Recensione a cura di Eleonora Cocola

Quello che succede di solito quando da un libro viene tratto un film è che ci si ritrova a ricercare nello schermo le sensazioni e le immagini che si sono trovate fra le pagine. Talvolta però succede che, complice lo zampino di un regista eccezionale come Hitchcock, la pellicola sovrasta per fama il romanzo – come nel caso de La donna che visse due volte. L’omonimo film è considerato – a ragione – una delle opere più importanti della storia del cinema e uno dei padri
del noir, e sfido chiunque a prendere in mano il relativo libro appena edito da Adelphi senza avere in mente i volti di Kim Novak e James Stewart.

Il libro però sorprende fin da subito per la sua capacità di vivere in maniera unica e indipendente dalla pellicola, probabilmente per via delle atmosfere: la Parigi di fine anni Trenta si presta splendidamente a fare da sfondo a questa vicenda tra l’horror e il thriller psicologico (il film invece è ambientato a San Francisco). Mentre sull’Europa incombe l’ombra della guerra, sull’ex poliziotto Roger Flavières incombe l’ombra di una donna. Lei si chiama Madeleine, e suo marito Paul Gévigne ha chiesto al suo vecchio amico Flavières di tenerla d’occhio.

La donna infatti si comporta in modo strano: sembra estraniarsi dalla realtà e ha sviluppato una specie di ossessione verso una ava morta da tempo, Pauline Lagerlac: resta a lungo a osservare il suo autoritratto, indossa i suoi gioielli, fa di tutto per accentuare la loro somiglianza. Ma anche la vita di Flavières non è priva di punti oscuri: completamente solo, privo di legami, Roger è tormentato dal ricordo di un collega poliziotto, morto a causa del suo terrore verso l’altezza e il vuoto - quelle vertigini che hanno dato il titolo al film che Hitchcock trasse da questo romanzo di Thomas Narcejac e Pierre Boileau.

Non c’è alcun bisogno di sottolineare le evidenti differenze fra la trama del libro e quella del film, ciò che accomuna maggiormente le due opere sono il senso d’inquietudine e l’atmosfera opprimente. Se nel film l’ossessione del protagonista per l’altezza e il vuoto vive prevalentemente di immagini e suoni (lo chignon, il quadro nel quadro, l’urlo del collega che precipita...), il libro gioca sull’introspezione, concentrandosi sui sentimenti di Flavières, dall’innamoramento per Madeleine al senso di colpa, fino all’ossessione per il presunto doppio della donna che fa precipitare il protagonista nell’abisso della sua stessa mente, in un dibattersi ossessivo tra eros e thanatos. Dal punto di vista narrativo il romanzo è un vero gioiello noir, capace di catturare il lettore e far sì che si identifichi saldamente col protagonista vittima di una situazione misteriosa, che sfugge ad ogni logica e che si risolve solo nell’epifania del finale.


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