Recensione: UNA RISATA NEL BUIO di Vladimir Nabokov

Titolo: Una risata nel buio
Autore: Vladimir Nabokov
Editore: Adelphi
Pagine: 225
Anno di pubblicazione: 2016
Prezzo copertina: 20,00 €

Recensione a cura di Eleonora Cocola 

«C’era una volta un uomo che si chiamava Albinus, il quale viveva in Germania, a Berlino. Era ricco, rispettabile, felice; un giorno lasciò la moglie per un’amante giovane; l’amò; non ne fu riamato; e la sua vita finì nel peggiore dei modi». Vi ricorda qualcosa? Se solo il protagonista si fosse chiamato Humbert Humbert e fosse vissuto negli Stati Uniti, questo avrebbe potuto essere l’inizio di Lolita. Non per niente Una risata nel
buio anticipa per moltissimi versi il ben più celebre capolavoro di Nabokov. Nella Berlino degli anni Trenta un uomo di nome Albert Albinus, professione critico d’arte, si gode una cospicua fortuna e un sereno ménage famigliare in compagnia di una moglie docile dal visino slavato e di una figlioletta golosa di dolci. 

Una vita tranquilla, finché nella luce fioca di un cinema non intravede Margot, diciottenne dal passato burrascoso e dal viso pallido, imbronciato, di una bellezza struggente – almeno agli occhi di Albinus, che continua a tornare nello stesso cinema finché non riesce ad avvicinare la ragazza. L’uomo è ammaliato dalla bellezza sinuosa di lei, nel corpo da adolescente e nel volto imbronciato della ragazza coglie una purezza destinata a svanire durante il primo amplesso, quando Albinus scopre che «come nelle sue fantasie più sfrenate, tutto era consentito» – altro che innocenza e amore puritano. L’uomo è così soggiogato da piantare in asso moglie e figlia per starsene con l’amante, finché una vecchia fiamma di Margot non interviene a rovinare l’apparente idillio dando vita a un triangolo amoroso fatale.

Se temi e personaggi di questo libro anticipano palesemente Lolita, i due romanzi non si assomigliano affatto. Qui di scavo psicologico c’è poco o nulla, la trama scorre rapida e incalzante, l’autore ci racconta la storia – man mano sempre più inquietante e claustrofobica – in maniera concisa e impressionistica, come se ci stesse facendo vedere una pellicola. E come se a interessarlo fossero prevalentemente due cose: il piacere stesso della narrazione e i dettagli, di cui è generosissimo. In mancanza di prolisse e accurate confessioni in stile Humbert Humbert, ci pensano questi ultimi a rivelare i profili psicologici dei persosnaggi (soprattutto il freddo cinismo di Margot), e a contribuire al carattere prevalentemente visivo della narrazione, tutta fatta di immagini suggestive e pregnanti, come la pelle olivastra di Margot che si tende sinuosa sul movimento delle scapole mentre la ragazza si sfila il cappotto – primo di una serie di dettagli che andranno a caratterizzare la ragazza come un serpente. E del resto, lo dice l’autore stesso subito dopo averci rivelato la fine della storia: «i particolari sono sempre graditi».

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