Recensione: IL LINGUAGGIO DEL GIOCO di Daniel Sada

Titolo: Il linguaggio del gioco
Autore: Daniel Sada
Editore: Del Vecchio
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2015
Prezzo copertina: 15,00 €


Recensione a cura di Eleonora Cocola

Valente Montaño vive nel nord del Messico, nel paesino di San Gregorio, con la moglie Yolanda e i due figli, Martina e Candelario. Con il progetto di aprire una propria attività a San Gregorio, Valente si dedica ai traffici illeciti oltre il confine con gli Stati Uniti, che ha attraversato diverse volte in viaggi rocamboleschi per guadagnare il denaro necessario; finalmente, dopo il diciottesimo viaggio oltreconfine, i Montaño riescono ad aprire una pizzeria: attività sul cui successo non hanno dubbi, si tratta infatti di una grande novità in un paesino in cui non si mangiano altro che tortillas.

Ma a Candelario questa vita va stretta, ha sempre desiderato fuggire, e finalmente, grazie al suo amico Mònico Zorrilla, dedito alla coltivazione di marijuana, si presenta l’occasione: con la promessa di grandi guadagni, Candelario si fa trascinare nel giro del narcotraffico. Mentre San Gregorio e la famiglia Montaño vengono travolti dalla violenza dei narcotrafficanti, che trasformano il sonnolento paesino di frontiera, in cui non succedeva mia nulla, nel sanguinoso scenario di una lotta fra cartelli rivali, Candelario fa carriera e diventa un boss.

Daniel Sada affronta il tema del narcotraffico e della violenza che ne deriva nella sua maniera unica e originalissima, con un misto di humour nero e sperimentazione linguistica. L’approccio, sia dal punto di vista del tono che da quello del linguaggio e della sintassi, è complessivamente satirico, e questo crea un contrasto stridente con l’argomento, tutt’altro che leggero. La vicenda di disgregazione della famiglia Montaño, con i due figli inghiottiti nel vortice di violenza dei narcotrafficanti e la pizzeria che diventa macabro teatro delle lotte fra cartelli, è infatti narrata con uno stile che tende, per l’appunto, a giocare con la lingua, mischiando espressioni popolari a neologismi, con una sintassi che a volte rende la lettura simile a un precipitare in un vortice di parole e sangue, e altre volte è volutamente frammentata, assumendo un ritmo spezzato che la fa assomigliare a una canzone di Fred Buscaglione. Uno stile, quello di Sada, che è giustamente definito “barocco”, e come tale risulta impegnativo e decisamente non facile da digerire: la traduzione è infatti difficilissima (non c’è bisogno di conoscere lo spagnolo, basta leggere il libro per percepirlo) e la lettura tutt’altro che semplice o scorrevole, continuamente in bilico tra il tono un po' incantato da racconto picaresco e il crudo realismo dei fatti narrati.

L'AUTORE
Mentre era in vita, Daniel Sada fu considerato il più impegnato avanguardista della sua generazione, paragonato per la complessità del suo progetto a Joyce, Faulkner o a Lezama Lima per l’approccio barocco alla scrittura. Nato a Sacramento, nello Stato di confine di Coahuila, ha raccontato la realtà fittizia di Città del Messico in storie ambientate nei ranch e nei villaggi del deserto del Nord. Fin da subito si è distinto per la stravaganza e lo sperimentalismo della forma, spesso giocato in contrasto con la serietà e l’impegno dei temi trattati. Divenuto famoso nel 1999 con Porque parece mentira la verdad nunca se sabe (Nessuno conosce la verità perché sembra una menzogna), la cronaca di una frode elettorale raccontata in 650 pagine interamente in versi che seguono la metrica dell’Età dell’Oro spagnola, è rimasto fedele al suo visionario progetto letterario fino alla morte, avvenuta nel novembre 2011, pochi giorni dopo la consegna del Premio Nazionale del Messico per le Arti e per le Scienze. Ha vinto nel 2008 il prestigioso Premio Herralde.

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